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L'intervista a Sara Piolanti e Marco Vignazia

A cura di Gianandrea Pasquinelli


     
  GIANNI: Sara Piolanti e Marco Vignazia siamo qui per presentare in anteprima l'esibizione del 25 di giugno in piazza Garibaldi nell'ambito del Castelfranco blues festival, mi raccomando partecipate numerosi perche' e' uno spettacolo veramente importante. Ora prima di iniziare, io un po conosco il suo percorso di Marco, meno quello di Sara, diciamo che so che e' partita con Vince Vallicelli, quindi con un storico batterista della scena blues di Forli' e quindi le darei la parola perche' vorrei sapere qualche elemento del suo percorso musicale.
SARA: A livello di blues come hai appena ricordato, le mie primissime esperienze sono state con Vince; ero all'ultimo anno di liceo e quindi veramente piccolina; e'stato il primo approdo di un viaggio che era partito gia' prima. Io dei miei compagni di classe fin dall'eta' piu' o meno dei 13-14 anni, ero quella che ascoltava la musica vecchia e cioe' il blues, rhythm and blues e cose del genere, un po per gli ascolti di mio padre, un po proprio per questa connessione a pelle con questo genere musicale che mi ha coinvolto subito; poi ho avuto e ho diverse situazioni in cui esprimo il mio amore per la musica, il rock, indie rock, il mio gruppo tuttora attivo soprattutto nella zona del reggiano si muove in questo ambito; cominciando a suonare il classico garage con gli amici ho fatto quella gavetta molto tradizionale, se cosi' si puo' dire, molto romantica anche, perche' ha proprio preso tutti quegli aspetti di quando da piccolina tenti di cominciare a farti un pochino spazio in questo ambiente.
GIANNI: Ecco io sono interessato ai Caravan De Ville, che dove lavoro hanno un seguito, uno zoccolo duro; ho visto che avete ripreso ora a suonare, dopo che vi eravate fermati
SARA: un periodo di 15 anni. Tra l'altro eravamo la settimana scorsa a Vignola quindi non lontanissimo da Castelfranco
GIANNI: Marco parlaci di te. Da Belluno sei piovuto a Forli'
MARCO: Da Belluno a Forli' e quest'estate tornero' a Belluno e sara' per me una cosa importante; tornare al Dolomiti Blues and Soul festival sara' tornare a casa dopo essere sparito per quasi trent'anni; ho conosciuto il blues con un concerto di RL Burnside a Belluno e poi l'ho sempre cercato, seguito fin dove ho potuto, con i miei mezzi, con le mie capacita', con quello che sapevo fare, con quello che non sapevo ancora fare, con la mia voglia di conoscere anche le persone che avevano la passione come la mia, tra cui anche te; uun percorso duro, andare avanti e sbattere il naso, rialzarsi confrontarsi con un mondo difficile, molto settario in cui ci sono altarini contro altarini, posizioni acquisite che vengono difese; una storia complessa; comunque sono contento perche' ho avuto occasione di conoscere tante persone veramente molto interessanti, anche recentemente tra l'altro, penso ad Angelo Leadbelly Rossi che vedro' sul palco insieme a noi sabato prossimo, Claudio Bertolin, tutte persone che mi hanno arricchito molto umanamente e anche musicalmente e mi hanno permesso di guardare le cose con una maturita' diversa, quindi al di la' del fatto che io vengo dall'elettrico e poi diciamo vado a tutto campo sul mio approccio al blues, queste persone mi hanno fatto comunque fare un salto di qualita' che sento e' diventato importante anche poi per Prison Songbook.
GIANNI: ora ci avete dato un po di coordinate sul vostro percorso, ma come vi siete incontrati? Quale e' stato poi il punto di equilibrio che vi ha portato a questo progetto Prison Songbook?
MARCO: beh a Migliarino, nel senso che era un progetto che era gia' in essere, che avevo gia' nella testa da un po di tempo, quando abbiamo iniziato a capire come funzionavano, allora ho proposto a Sara questa cosa
SARA: noi suonavamo gia' insieme, abbiamo cominciato a suonare insieme quando io sono tornata qui a Forli' da Milano circa tre anni fa e abbiamo cominciato a suonare insieme perche' Michele Minisci, che era direttore artistico del Naima, insomma uno che macina un po in questo senso, mi ricordo che mi trovo' una data e mi serviva un chitarrista e mi propose di contattare, anzi ricontattare Marco, perche' io Marco, a proposito di Vince Vallicelli, lo conobbi quindi parliamo di 20 anni e passa proprio nel contesto di Vallicelli, poi non c'eravamo mai piu' sentiti pero' appunto circa 20 anni ecco. Diciamo che l'incontro e' stato quello, ricominciare a suonare insieme quando io da Milano sono ritornata a Forli' e poi e' successo quello che stava descrivendo Marco.
GIANNI: Prison Songbook e' un bel progetto, forte di un repertorio di nicchia e per addetti ai lavori, mi viene subito in mente Alan Lomax e cosi' via; come nasce questa scelta ?
MARCO: inanzitutto il mio amore per Bukka White, perche' Bukka White aveva una scrittura fantastica che in due parole riusciva a descrivere una situazione e dopo di che ovviamente questa cosa non e' rimasta li', nel senso che indagando poi il perche' Bukka White scriveva queste cose sono venute a cascata giu' una valanga di informazioni. Mi interessava capire se esisteva un blues carcerario, una sotto tematica che c'e' nel blues; ma era interessante capire se e quanti di questi artisti avevano raccontato la prigionia e quindi scrissi a Marino Grandi del Blues Magazine e chiesi a lui se poteva indicarmi delle fonti, scrissi a molti altri anche a Roberto Menabo', alcuni mi diedero alcune informazioni altri mi dissero cose che conoscevo gia'; ma illuminante fu l'indicazione di Marino Grandi sulle registrazioni di Harry Oster che mi permisero di vedere una realta' ancora piu' ampia, quella che e' stata registrata da Oster; questa e' una finestra piu' ampia perche' aveva a che vedere con artisti anarcoidi come Robert Pete Williams, come Otis Webster, Hogman Maxey, tutti soggetti che mi erano sconosciuti e mi sono reso conto che questo percorso all'interno del blues carcerario avevo un sacco di sotto-tracce, molti tranelli, nel senso che il fatto che uno registrasse in galera Stackolee, per esempio una classica storia di violenza, il cattivissimo Stackolee che uccide Billy Lions eccetera, non voleva dire che quello fosse un blues carcerario e quindi un sacco di domande ci stavamo ponendo io e Sara su che cosa fosse veramente la tematica e alla fine abbiamo capito che la tematica erano i diritti umani; c'e' qualcosa che va al di la' della musica e che e' il motivo per cui si creano canzoni, ispirazione di vita vissuta, e qui veniva fuori il blues nel senso che nel momento in cui alle persone viene tolta la cosa piu' importante che e' la liberta' e le persone sentono l'esigenza di raccontarlo e' allora quello il tema, non so se mi sono spiegato. Dopo di che salta fuori che la tematica carceraria era presente in tantissimi autori anche fuori dalle carceri e allora li' siamo partiti a spron battuto perche' il fatto che ci fosse questo, era il problema. Nel senso che se c'e' quella tematica li e' perche' c'e' un problema, un problema sociale di discriminazione, un problema sociale di un popolo che sente l'esigenza di raccontare questa condizione; quindi Prison Songbook e' una narrazione di come il popolo afroamericano raccontava la privazione della liberta'.
GIANNI; questo e' molto interessante perche' lo possiamo contestualizzare al mondo attuale dove persiste un tema sulle carceri, che nonostante quanto sancito dall'articolo 27 della costituzione, ovvero che il carcere debba essere un luogo di rieducazione, in realta' resta un luogo di contenimento, isolamento sociale, di privazione degli affetti, di privazione di tutto quello che diciamo rappresenta l'uomo; e' strano poi che nelle carceri moderne mentre c'e' una libreria nella maggior parte di esse, non c'e' la possibilita' di ascoltare, fare musica. Ci sono degli esperimenti pilota; per esempio, ce n'e' uno che e' quello fatto da Franco Mussida della PFM di Milano che ha fatto questo esperimento in quattro carceri italiane dove ha proposto un'audioteca ma null'altro. Insomma e' quindi un tema che mi e' caro ed e' allineato con quello che dicevi rispetto al vostro progetto. Ma voi in questo progetto quindi coniugate una parte live fatta ovviamente della musica dei brani che avete selezionato, in cui ricordiamo che Sara sostanzialmente canta e utilizza delle percussioni e Marco invece utilizza una chitarra elettrica e poi arricchite lo spettacolo con degli audio video registrati che avete selezionato; come nasce questa integrazione?
SARA: in realta' per un motivo molto semplice a parte che va beh i testi sono in uno slang particolare dove anche se sei un po anglofono si capisce e non si capisce e ci siamo accorti di quanto invece fosse determinante far arrivare la lirica dei pezzi che stavamo facendo; sin dall'inizio e' nata l'idea facciamo una sorta di libretto come si fa nella lirica per avere qualcosa di fruibile sempre di volta in volta direttamente su un palco, piu' scenografico, visto che poi noi ci rivolgiamo prevalentemente a teatri e festival, quindi in contesti dove questo e' possibile farlo, tentando sempre di piu' di renderlo per l'appunto piu' teatrale possibile, piu' a 360 gradi. In realta' qualche cosa che gia' si e' visto e gia' si vede, quindi non e' niente di innovativo niente di nuovo, ma l'obiettivo era soprattutto quello di far si' che la gente sapesse che cosa stavo dicendo, quello di cui si sta parlando, perche' secondo noi c'e' una potenza espressiva in questa poetica pazzesca e Marco ha parlato di Bukka White e Robert Pete Williams, insomma poi ci sono molte altre cose che tra pochi giorni potrete verificare voi stessi
GIANNI: ecco una cosa che mi viene da chiedere e' se c'e' una sincronizzazione tra le immagini che voi proiettate e lo spettacolo che proponete live, avete dei margini per l'improvvisazione?
SARA: forse non so se hai inteso bene qual e' la questione, io semplicemente faccio andare una slide che si ripete all'infinito finche' non ho finito la canzone quindi noi possiamo improvvisare quanto vogliamo e lo facciamo; questo non ci relega a quei tre minuti perche' la slide va avanti, quando e' finito il testo che scorre ricomincia. L'unico legame e' quello sulla scaletta, questo si', noi dobbiamo cominciare con una scaletta definita dove il primo pezzo e' quello, il secondo e' quello, il terzo e' quello ancora, ma detto questo non ci sono limiti di tempo nell'esecuzione; non volevamo che ci fossero proprio per la liberta' del momento, quindi abbiamo utilizzato questo stratagemma del testo in doppia lingua italiano e in inglese in modo da far capire alla gente che cosa stava succedendo.
MARCO; in realta' abbiamo tre tipi di approcci; il primo e' questo che noi usiamo nei teatri e che useremo probabilmente al Dolomiti Blues and Soul, ma poi abbiamo un secondo approccio che e' quello che useremo a Castelfranco dove non e' possibile fare la proiezione ma verra' stampato dal Comune un libretto con dei riferimenti numerici che Sara quando introdurra' un pezzo citera' per consentire al pubblico di seguire il progetto. Nel caso in cui gli stampati fossero inferiori al numero dei partecipanti ho creato un QR code che rimanda all'interno della pagina del sito con i testi in modo che si possa seguire tutto dal cellulare. I testi per noi sono fondamentali, anche perche' parliamoci chiaro, molte persone non si appassionano al blues perche' dicono e' tutto uguale, ma questo non e' vero lo sappiamo, pero' c'e' un problema, perche' percepiscono questo? Perche' ascoltono solo la musica! Pero' nel momento in cui li fai entrare a contatto con la dimensione dei testi gli fai toccare con mano il motivo per cui tu stai facendo quel tipo di percorso. Quindi per noi e' importantissima questa cosa; ci siamo confrontati anche con Fabrizio Poggi per esempio per alcune trascrizioni, lui e' uno studioso della lingua, quindi mi ha aiutato con alcune indicazioni, anche per lui e' importante il testo ed e' importante proprio perche' e' la tematica che guida questa selezione di brani e questo percorso, solo che se non lo fai arrivare, ti puo' piacere come suono io, come canta lei ma assaggi solamente una fetta piccola della torta. Il progetto rischierebbe di non arrivare come dovrebbe.
GIANNI: quindi c'e' un grosso lavoro che fate di costruzione del repertorio che parte diciamo dalla ricerca dei brani dalla trascrizione, che non e' facile.
SARA: non e' facile per niente per mille motivi, primo perche' questi pezzi proprio non sono da nessuna parte, secondo perche' anche una volta che li trovi, il testo e' uno slang al limite dell'analfabetismo in alcuni casi, perche' poi questi personaggi magari non avevano un'alta alfabetizzazione; e' stato assolutamente difficile con le traduzioni, difficilissimo renderlo per quello che sono con tutte queste frasi idiomatiche, insomma si' non e' stato semplice infatti abbiamo chiesto aiuto, a Fabrizio Poggi, ancora prima a dei musicisti texani, un texano in particolare ci ha dato una mano con un testo, cioe' realmente abbiamo avuto bisogno di un madrelingua.
MARCO: e' un lavoro di ricerca, si, ci siamo appoggiati come diceva giustamente Sara a trascrittori madrelingua per alcune cose che non si trovavano su internet e via dicendo, pero' ci interessavano perche' magari di un autore scopri che quella era stata l'unica registrazione che ha fatto prima di sparire nel nulla, e questo e' importante per tramandare una testimonianza. Io mi commuovo quando penso che Guitar Welch, che ha scritto un brano bellissimo come Electric Chair Blues, noi l'abbiamo portato in un teatro, ogni volta che ci penso mi commuovo, perche'? Perche' penso di averlo portato fuori dalla prigione, averlo valorizzato, per questo mi commuovo perche' prendere questo testo e farlo conoscere, mettergli una cornice che valorizzi il quadro per me e' una cosa bellissima; e' bellissima perche' prendo questo autore per mano e lo tiro fuori insieme a Sara dalla sua prigione, lo porto in una dimensione artistica in cui quello che fa la sua narrazione viene capita e viene valorizzata; per me questo e' il massimo quando abbiamo fatto questa cosa al Teatro Verdi o al Teatro Jolly; ero contentissimo perche' al di la' del fatto di dover fare delle cose che sono accattivanti, si' perche' al festival senno' non ti prendono eccetera, tu fai una cosa di questo tipo e hai dato il tuo contributo alla musica. Io la vedo cosi'.
GIANNI: insomma avete un progetto che presentate con successo in giro per teatri e festival e ora avete anche un libretto di sala ma un disco insieme avete programmato di farlo?
SARA: e' nell'aria, si' credo che sara' la logica conclusione, il logico step successivo; da due anni ci lavoriamo, senza fretta, nel senso che di fatto e' vero che il progetto e' maturo ma in mezzo abbiamo avuto la pandemia e quindi siamo ripartiti da relativamente poco tempo; ecco pero' si' personalmente credo che andra' fatto, non so cosa ne pensa Marco ma credo che ...
MARCO: si si, nonostante io non sia un animale da studio di registrazione, penso che sarebbe una cosa giusta anche per lasciare comunque in segno e comunque per me e' gia' una grandissima cosa quello che stiamo facendo e perche' proponiamo un progetto culturale, che pero' e' anche un progetto musicale che spiega alcune cose, ma lo fa in maniera da non essere pedante; per me e' gia' una grande e bella esperienza, e vedo che le persone piu' attente stanno capendo, nel senso che vedo che c'e' una bella ricettivita' nei confronti di questo progetto, capiscono che il percorso che e' stato intrapreso all'interno di quello che il panorama blues italiano, e' un percorso valido e alcuni ci hanno anche molto aiutato per cercare di portarlo in giro; per cui molte persone si sono interessate, dobbiamo ringraziare anche molto, la Francesca Montagni che ci ha permesso di portalo fuori per la prima volta, comprando questo progetto a scatola chiusa, per un direttore artistico veramente un atto di grande coraggio e molte altre persone adesso ci aiutano; credono in questo progetto e penso che sara' molto bello farlo conoscere alla gente, piu' lo portiamo in giro piu' sul territorio nazionale e piu' probabilmente la gente iniziera' ad appassionarsi anche ai contenuti del blues credo. Penso che se ci permettono di raccontarlo cosi' come lo abbiamo pensato potremmo essere molto contenti di questi risultati, ecco io gia' sono contento adesso per le ragioni che ho detto prima.
GIANNI: abbiamo raccontato il vostro progetto, penso che ora sia piu' chiaro chi possono essere i fruitori del vostro spettacolo questo sabato
SARA: in realta' tutti possono esserlo, l'obiettivo sarebbe quello, poi come diceva Marco ci sono quelli piu' attenti che stanno cogliendo per primi diciamo lo spessore della cosa, che e' innegabile, secondo noi c'e', e' reale, e' una cosa di un certo spessore ma non e' una cosa elitaria, questo voglio che sia chiaro, perche' assolutamente l'obiettivo e' quello che diventi un messaggio che non devi andare a decifrare e decodificare; ci riguarda tutti in fin dei conti, tocca tutti non e' qualche cosa di incomprensibile la perdita della liberta', il riscatto; il dolore riguarda tutti noi, nessuno escluso, quindi in questo senso secondo me spero che sia sempre piu' a largo spettro il pubblico che ci segue.
MARCO: il parlare di questi argomenti e' bello, e' bello proprio perche' fa capire qualcosa di piu' del blues e delle sue motivazioni, ma non solamente del blues ma di una cosa che riguarda tutti quanti, la liberta', il percorso che molte persone hanno fatto per raggiungerla e delle difficolta' che si incontrano ogni giorno per poterla mantenere, quindi quando noi pensiamo agli autori che noi portiamo fuori appunto in festival e teatri, che sono poi scomparsi nel nulla, che hanno registrato delle cose, che poi non si e' piu' saputo niente di loro, noi raccontiamo il loro testamento, la loro eredita', non e' una produzione di mille pezzi come John Lee Hooker, e' la produzione di uno o due brani di un artista che nessuno conosceva fino a che non sono venute fuori le raccolte di Harry Oster; nessuno sapeva neanche che era nato e di cui non c'e' probabilmente neanche una foto. Quindi questa cosa qui bisogna ricordarsela bene secondo me perche' siamo sempre li', cerchiamo di uscire un attimo dal mondo dell'intrattenimento e cerchiamo di entrare poi in quello dell'empatia di cercare di capire il perche', nel toccare questa sensazione di dolore e di cercare di raccontarla di far capire che e' bello battere il tempo col piede ma ci sono anche tante altre cose che girano attorno a questa cosa qui e hanno a che vedere col battere il tempo col piede; pero' vedere solamente questo aspetto riduce la tua comprensione a, mi e' piaciuto, mi sono divertito, non mi e' piaciuto, non mi sono divertito, e questa cosa qui lascia delle persone ancora dentro la prigione; noi dobbiamo lavorare per farle uscire se no rimarranno sempre li' dentro.
GIANNI: allora non ci resta che dire a tutti: presenti a Castelfranco, in piazza Garibaldi sabato 25 per vedere questo spettacolo cosi' colto e particolare; Prison Songbook, Sara Piolanti, Marco Vignazia; speriamo che siate numerosi a godervi lo spettacolo, avrete il libretto di sala, avrete il QR code, non avrete la diapositiva, pero' questo sara' un incentivo per vedere lo spettacolo PRISON SONGBOOK in altre occasioni, all'interno di un teatro o di un altro festival!
 
     
     
 
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